Affetta. Da Mal di fuoco.1
Nel mare se c’è bonaccia ti puoi specchiare.
Nel fuoco no, non ti è dato coincidere con te
stesso.2
Il cuore va aperto affinché la fiamma sanguini
alla luce dell’altro.3
Il fuoco tiene il segreto
mantiene la parola.4
Ecco cosa mi spinge, ogni volta, ad appellarmi agli artisti quando tento di dire qualcosa sulla portata etica e socioculturale della psicanalisi, sul senso che oggi può avere “servirsene” come strumento altro di restituzione e cura della dimensione umana: penso ci voglia qualcosa che sfondi la nosografia diagnostica, l’epistemologia filosofica, l’ermeneutica filologica, la “pura” tecnica della lingua. Solo l’arte, a mio avviso, ha questa potenza scardinatrice, ha le parole per dirlo5.
In questa costante ricerca di un lessico che trascenda se stesso per dire la Cosa psicanalitica, sono inciampata-approdata nella scrittura di Jonny Costantino, visionario senza illusionismi, che in particolar modo nel suo ultimo libro, Mal di Fuoco - ma già in tutta la sua produzione6-,quasi incarnando il passo crudo del reale lacaniano7, ci offre tagli estetici nuovi per incidere questa modalità di saputo soggettivo e collettivo di cui - nella visione di chi scrive – si veste la psicanalisi.
I frammenti in esergo ne sono testimoni esemplari.
Non potremmo forse leggere nel primo l’irriducibilità della frammentazione del «soggetto del desiderio» al narcisismo egoico che pure ci struttura?
E, nel secondo, non irrompe forse il tratto di necessità che implica la dimensione dell’«A/altro» nella torsione di una vita?
Il terzo, non condensa forse la potenza generatrice custodita nella tutela piena di grazia della «dimensione analitica»?
Si tratta, per me, in questa sorta di “lingua dell’arte”, di un’incisione necessaria, che consente un’apertura verso l’insaputo. Essa infatti s’impone come contrappunto rigenerativo alla spinta mortifera dell’azione significante, come fa ‘lalingua’ lacaniana8. In altre parole, se il linguaggio è il mezzo che permette letteralmente di esistere nel mondo, che dà la possibilità di dire le cose del mondo, allo stesso tempo questo dire-esistere, deve essere accompagnato da un ancora per non diventare tomba del mondo. L’incisione di un lessico che si rinnova costantemente è per me questo ancora. Poter dire senza soluzione di continuità. Mantenere dinamica, viva la spirale di nominazioni possibili, “far morire” le cose del mondo di un godimento che esorbita la dimensione del bisogno e tocca quella bruciante e insensata del desiderio dell’Altro, senza “ucciderle” una volta per tutte.
Vedo nello stile di Jonny Costantino questa possibilità: in Mal di fuoco incontriamo infatti narrazione, aforismi e poesia che tessono un racconto contemporaneamente fuori e dentro al tempo (Freud ci dice che «l’inconscio non conosce il tempo»), in una dimensione familiare di esilio del corpo e dell’anima (che Lacan designerà con la parola ‘estimità’)9. Senza scampo, frase dopo frase, l'eco significante dei sintagmi precede il detto, rimanda all'origine e ci sputa fuori per riagganciarci ancora e ancora nei suoi vortici di fuoco. La sua forma scrittoriale forza costantemente le sbarre dell’inchiostro stampato, divenendo prigione paradossale che spezza le catene liberticide del ‘bene-detto’. Jonny Costantino ci acceca con la sua luce. Del resto
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Ve l’ho detto
sono un essere minimo.
Carne e luce.
Devo ricondurre tutto alla mia carne
che cerca e si fonde con le altre carni.
Devo ricondurre tutto alla mia luce
che si accende e si dissipa in altre luci.
Carne e luce: visione.10
In più la narrazione asciutta nella sezione intitolata La Sinistra solleva il velo protettivo del bello, mostrandoci le viscere incandescenti del reale della Cosa11: crudeltà, spietatezza e disillusione diventano cicatrici necessarie che legano la sua poetica all’etica psicanalitica smembrando i meccanismi di ogni possibile logica normalizzante priva di vita.
La mia è domanda d’arte. [...]si tratta [...]di cogliere cosa l’arte può insegnare alla psicoanalisi sulla natura del suo stesso oggetto12, attraverso le sue forme. Tessiture ineffabili, margini di trascendenza immanente. Questo punto di trazione analitica rovescia l’approccio usuale di lettura dell’opera d’arte e va oltre ogni versione patografica e concezione riduttivamente applicativa della psicoanalisi.13
[…] perché l’inconscio dell’opera, se posso esprimermi così, consiste precisamente, per usare le parole di Alberto Burri, nella «presenza irriducibile» dell’opera stessa, dunque in un reale che si sottrae al gioco ermeneutico del senso e che spiazza l’idea dell’interpretazione come decifrazione simbolica del significato latente.14
L’analogia che, nella cosiddetta psicanalisi applicata all’arte, legava l’opera al sintomo/fantasma dell’artista non regge più e in questa nuova prospettiva si sgrana il limite tra etica ed estetica. Atto e gesto. Tali pratiche senza garanzia15ci mettono di fronte alla natura pulsionale e non istintuale dell’uomo, alla verità di struttura del suo pathos. Il sintomo, considerato per lo più come un’interferenza nociva da eliminare, diviene scrittura dell’indicibile, assume dunque uno statuto di esistenza speciale: viene elevato alla dignità del soggetto. Come dice Freud nel libello sull’analisi laica, la nevrosi è il “privilegio”16 che ci rende umani. Lacan arriverà a dire, via Joyce che, in certi ‘casi’, ciò che fa tenuta nell’umano è il proprio sinthomo17 [...]è l’opera come sinthomo che scrive il nome proprio del soggetto18. L’opera diviene il luogo in cui si manifesta «al singolare» il reale della pulsione19, la potenza del proprio fuoco. In sostanza, siamo esseri affetti, con Jonny, da Mal di fuoco.
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Mal di fuoco è il nome di un’infiammazione.
Un’infiammazione che trova sfogo nell’amore e nell’arte.
Un’infiammazione che, in casi rari, è cronica e, se cronica, contagiosa.20
Contaminazione: unica via per una trasmissione possibile. Amore e arte: le vie del contagio. Psicanalisi: cura del contagio. Non dal contagio. Perché
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senza amore, senza arte,
cadiamo come lucciole folgorate,
mai visti né toccati da anima viva.21
Anche se
Talora la pressione del fuoco interno è così forte
da sfuocare la creatura, da incenerire il contorno.22
...non si tratta di evitare l’ustione ma di sopportare il dolore che ci infligge, di farsene qualcosa23.
L’arte come l’amore è ciò che si patisce. ‘Non poterne fare a meno’. Come di una ‘droga’, di un ‘gesto rituale’, al di là del bene e del male, al di là del principio di piacere. La psicanalisi come l'arte, ‘serve’ le ustioni inevitabili che la nuda vita ci infligge, guida come l'arte, attraverso il fuoco dell'a/Altro, mostra-senza-riflettere come l’arte, la verità insopportabile che ci anticipa.
La bellezza del fuoco è mortale.
Se ti distrai muori.24
Né, del resto, il fuoco se lo aspetta da tutti.
Che lo attraversino per rinvenire al mondo.
Per divenire mondo.25
La mortalità è qualCosa per cui lottare, non qualCosa da cui fuggire. È qualCosa da praticare26. Reinterpretando una massima di Beckett: morire sempre, morire meglio grazie alla «bellezza del fuoco». Sedotti senza scampo dal Bello che ci accosta alla Cosa pur mantenendoci separati dalla Cosa27, «rinvenire al mondo» ogni volta dopo l’accostamento che ci espone al contagio.
Sapere, e non potersi più tirare indietro a meno di una rimozione.
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Addolora e libera
la conoscenza del serpente.
La libertà è una tensione:
esilio avventura illusione.
Il dolore è la cruna della gioia.28
fr. 457
Serpente Lucifero Gesù
veleno luce sangue
amore della conoscenza
conoscenza dell’amore29
Il farmaco (pharmakon) nella sua lingua d'origine significa veleno, oggi nella nostra lingua è ciò che lenisce le ferite, guarisce dalla malattia. Dunque quel che ci avvelena, cura. Nessuna contrapposizione possibile. Nessuna scelta tra ‘bene e male’. Illusione della morale, verità etica. Questa libertà ci dona la conoscenza. Il sangue è il prezzo per la gioia di questa avventura. La via dell’esilio nella luce dell’Altro ciò che ci tende e ci trasforma, che ci insegna a dire l’amore facendo la verità.30