La schizofrenia è forse una conseguenza

necessaria della alfabetizzazione

Marshall McLuhan

 

 

 

 

«[La] RKO (Radio Keith-Orpheum Radio Pictures Incorporated) [è una] società di produzione e distribuzione statunitense. Nata nel 1928 dalla fusione della Boking Office of America Inc. con la Keith-Albee-Orpheum Corporation e una società di Rockfeller, la Radio Corporation of America, viene diretta negli anni da molti personaggi autorevoli come J. I. Breen (il “censore” che lavorava con Hays), G. J. Schaeffer, N. Krasna e altri. Si pone subito tra le majors, con una produzione quantitativamente ragguardevole che fornisce lavoro a uno dei cinque maggiori studios di Hollywood, grazie a un'intelligente politica di affiancamento di produzioni di prestigio a film di genere, talvolta di serie B, a basso costo, diversificata pressoché in tutti i generi e all'acquisizione, alla fine degli anni '30, della distribuzione delle opere della W. Disney, della S. Goldwyn e di D. O. Selznick[...]»1.

Il ricco patrimonio testuale di questa (e di altre) majors costituiva una delle principali fonti di informazione (e di studio) per chi, tra la fine degli anni '50 e i primi '60, si voleva fare un'idea della realtà un po' diversa da quella offerta dai registi nostrani, piena di bambini neorealistici infagottati in giacche da adulti e con scarpe (quando c'erano) di tre o quattro numeri più grandi.

Il mondo che veniva proiettato sullo schermo bianco era completamente diverso dalla realtà circostante, anche quella delle città: e proprio le città dall'altra parte dell'Atlantico apparivano come un qualche cosa lontano anni luce dai cortili polverosi e dalle strade ancora piene di macerie che costituivano lo scenario in cui ci si muoveva “da questa parte”.

E poi c'era la torre, la torre della RKO, una specie di tour Eiffel americanissima che dall'altra parte dell'oceano lanciava le sue trasmissioni simili a piccoli lampi che attiravano in maniera totale il campo visivo, e a segnali di tipo morse diretti verso quello uditivo.

Il codice era sconosciuto, ma l'attenzione era totale. Forse senza saperlo, stavamo maneggiando i primi testi filosofici della nostra formazione.

Se un processo comunicativo [è]:

«il passaggio di un Segnale (il che non significa necessariamente 'un segno') da una Fonte, attraverso un Trasmettitore, lungo un Canale, a un Destinatario (o punto di destinazione)»2...

allora è senz'altro vero che noi eravamo i Destinatari di quei Segnali emessi da quella Fonte attraverso quel Trasmettitore. E, per nostra fortuna, non solo da quello.

 

Non potevamo certo immaginare che diversi anni prima, in un luogo diverso ed in una diversa situazione, si verificava una scena molto simile:

«Spesso si precipitava in un cinematografo subito dopo la fine della lezione; a volte, mentre i discepoli incominciavano a portare le sedie fuori della stanza, guardava un amico con espressione supplichevole e gli diceva a bassa voce: “ Che ne dici di andare a vedere un film?” Per strada Wittgenstein comprava una ciambella, o una fetta di pasticcio freddo di maiale, che poi sbocconcellava durante la proiezione. Voleva sempre sedersi in primissima fila, in modo che lo schermo occupasse tutto il suo campo visivo, e la sua mente si liberasse dal ricordo della lezione e dalle sensazioni di disgusto. Una volta mi bisbigliò: “È come fare una doccia!” Non seguiva il film con distrazione o distacco; si sporgeva in avanti, teso sulla poltrona, e solo di rado distoglieva lo sguardo dallo schermo. Mai o quasi mai faceva commenti sugli episodi del film, né amava che li facesse il suo compagno. Voleva che il film, per quanto banale o artificioso, lo assorbisse completamente. Amava i film americani e detestava quelli inglesi. La sua avversione per la cultura e la mentalità inglese lo induceva a pensare che non ci sarebbe mai stato un film inglese passabile. Ammirava molto Carmen Miranda e Betty Hutton; prima di venire a farmi visita in America, chiese scherzosamente che lo presentassi a Betty Hutton»3.

 

Ogni filosofo, come si potrà constatare dagli scritti che seguono, ha la sua tecnica per catturare la trasmissione proveniente dalla nostra torre, e il film che in assoluto ha schiacciato di più filosofi e non nelle prime file dei cinema è senz'altro Casablanca. E, sempre leggendo quegli scritti, emerge che anche qualche psicanalista parigino avrebbe pagato il biglietto per assistere agli sviluppi del triangolo Rick-Ilsa-Victor.

 

«Il medium è4il messaggio», ci dice Mrshall McLuhan, e questa sacrosanta asserzione sembrerebbe proprio essere scaturita guardando i fotogrammi iniziali di un film RKO. Casablanca non è un film RKO; è un film Warner Bros. West Coast Studios, una garanzia per i cinefili di tutto il mondo, quelli che si siedono in prima fila sbocconcellando pasticcio di maiale freddo e che continuano a vederlo generazione dopo generazione. Certo i gusti sono cambiati, ma forse non tantissimo se può capitare, nella biglietteria di un cinema di Manhattan, di assistere a un battibecco tra due persone in fila per acquistare il biglietto: il signor Alvy Singer si lamenta con la sua ragazza Annie Hall del modo di fare della persona dietro di loro che continua a parlare di Cinema & Filosofia per farsi bello agli occhi della sua giovane accompagnatrice. Quando viene citato anche McLuhan Alvy non ne può più e sbotta provocando la risentita reazione dell'uomo che si scopre essere un professore della Columbia University che tiene un corso su TV, Media e Cultura. Chi meglio di lui può parlare del professor McLuhan?

 

 E a questo punto, in una delle più belle scene del Cinema di tutti i tempi Alvy prende per mano il “vero” McLuhan, che se ne stava in silenzio dietro un cartellone pubblicitario, lo porta davanti alla mdp in modo che tutti, compreso il giovane professore della Columbia lo possano vedere e sentire mentre dice:

«Lei non sa niente del mio lavoro. Lei sostiene che ogni mia topica è utopica. Come sia arrivato a tenere un corso alla Columbia è una cosa che desta meraviglia»5.

Trasmissioni...

 

1 G. Canova (a cura di), Enciclopedia del cinema, Garzanti, Milano 2009, p. 986.

2 U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano 1982, p. 19.

3 N. Malcolm, Ludwig Wittgenstein, Bompiani, Milano 1988, p. 42.

4 Corsivo nostro.

5 W. Allen, Io e Annie (1978).


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